In questo caso "non si nasconde nei dettagli", parla chiaro: noi donne siamo solo macchine, tanto vale sottoscrivere un contratto di leasing per il nostro utero e incassare un canone mensile.
Il manifesto in difesa del genere femminile pubblicato su “Il
Fatto Quotidiano” il 12 aprile scorso, scritto da una donna che ne cita
altre due - ovviamente autorevoli sinistre intellettuali - postula quale
presupposto per la liberazione femminile dalla “schiavitù" della maternità
naturale, la consapevolezza che noi donne non siamo altro che macchine
incubatrici sfruttate dal bianco maschio sistema capitalista.
In quanto fattori della produzione – come una pressa o una stampante 3D – la soluzione per tutte noi è quella di accettare questo “disumano” destino, la fecondità, facendoci remunerare in denaro la “disgrazia” di essere nate per dare la vita, ovviamente attraverso il motivante strumento del reddito universale.
Perché, insomma ammettiamolo, noi donne siamo tutte, in fondo, solo miliardi di uteri a cui nessuno paga l’affitto!
Dunque, la soluzione globale per la salvezza – non certo eterna – delle donne e al contempo dell’umanità intera, è quella di essere retribuite con un salario per sfruttamento di un “pezzo” del nostro corpo, già immaginiamo i tavoli di trattativa tra locatarie e affittuari di uteri per trattare il minimo sindacale.
Secondo queste esperte di maternità, dignità e libertà - Angela Balzano è niente di meno che ricercatrice bioetica all’Università di Torino - è necessario superare “la morale dominante ancorata a una concezione di “corpo intero” di cui teoricamente l’individuo sarebbe sovrano”.
Si, l’hanno detto: “teoricamente”.
Un pezzo del nostro corpo che - come ben argomentato nell’intervista - non è appunto nostra proprietà privata perché “ovociti e uteri sono sempre astratti dai corpi-soggetto cui appartengono e che li producono”.
Quindi l’utero è un bene collettivo, come l’altalena al parco giochi, il cartello di divieto di sosta e la sedia all’ufficio dell’anagrafe.
Dare alla luce un bambino, magari con un uomo che ami e con il quale vuoi trascorrere la tua vita, non è un’ipotesi nemmeno sfiorata. La passione, i sentimenti, l'amore, la dedizione, lo scambio reciproco, il dono, persino la felicità, non sono contemplati. Vade retro!
Quella è roba da medioevo, retaggi di un passato da estirpare come una pianta infestante affinché si possa finalmente costruire un mondo di donne contenitore regolarmente assunte dal sistema della co-produzione collettivizzata.
Sì, l’hanno detto: uteri astratti dai corpi-soggetto.
L'atto di dare alla luce un bambino o una bambina va concepito come "produzione funzionale alla riproduzione e non viceversa", ovviamente il tutto regolamentato da una legge del dio stato e puntualmente contrattualizzato, anche con la previsione dell'opzione “lavoro esternalizzato”, dicasi utero in affitto.
E con questo, pare di capire, si risolve anche il secolare problema marxista della lotta di classe: il giusto salario uterino sdogana lo sfruttamento dei ricchi capitalisti a danno delle classi subalterne, basta pagare adeguatamente la produzione legalizzata del bambino.
Va da sé che le nostre sinistre intellettuali non potranno che applaudire al prossimo nascituro della famiglia reale danese, che a maggio prossimo riceverà in consegna il neonato che darà alla luce una madre surrogata regolarmente contrattualizzata (addio sangue blu), sempre che sia maschio, in caso contrario i sovrani potranno legittimamente rescindere dal regolare contratto di acquisto: la merce non è conforme all'ordine. In tal caso chissà se verrà gettato nell'umido insieme a milioni di feti abortiti o venduto in qualche outlet di bambini firmati a prezzo di occasione.
Si, proprio così: la produzione è funzionale alla riproduzione
Il che significa che per queste libere pensatrici il problema non è affatto l’abominio del libero sfruttamento di uteri di bambine povere o donne in difficoltà finanziarie, la compravendita di bambole per ricchi, no la "Gravidanza per altri" (già siglata Gpa) non va assolutamente vietata, bensì contrattualizzata: “La riproduzione è parte integrante del ciclo produttivo. L’accanimento contro le tecniche di Gpa rischia di occultare un più stridente paradosso: ancora oggi gli ambiti professionali in cui le donne vengono maggiormente impiegate sono quelli dell’economia informale, quelli prossimi alla cura, alla riproduzione e alla sessualità. Come ha dimostrato Antonella Picchio, economista, ancora oggi il totale del lavoro produttivo pagato è minore del totale del lavoro riproduttivo non pagato. Si tratta nientedimeno che di sovvertire il modello, di cominciare a considerare la produzione come funzionale alla riproduzione e non viceversa. In sua assenza, o si regolamenta la riproduzione biologica come lavoro che può essere esternalizzato, o si corre il rischio della diffusione di accordi privati non trasparenti, con compensi “in nero”. I contratti, con tutti i loro difetti e di certo perfettibili, costituiscono uno strumento di garanzia per le soggettività coinvolte in una Gpa. Il divieto sottrae potere contrattuale alle gestanti, le riconduce nella sfera privata della famiglia, laddove i rapporti asimmetrici tra i generi possono esporle a rischi più elevati e proprio laddove il loro lavoro riproduttivo è preteso in forma gratuita – quando non completamente estorto”.
Si, l’hanno detto: un lavoro gratuito quando non completamente estorto in famiglia.
Che dire, devono avere avuto davvero una brutta infanzia e una famiglia senza amore queste donne, per questo non possiamo che pregare per loro perché "non sanno quello che dicono".
Ma dicono quello che sentono, cioè il nulla, un vuoto incolmabile di senso che vogliono imporre alle masse di giovani donne nella veste di paladine della liberazione femminile, attraverso la manipolazione della realtà immanente dell’essere umano, che è più della somma delle sue parti: è corpo, psiche, anima e spirito.
Come spesso accade tra chi mira ad esercitare il dominio sul prossimo, divulgano le loro macabre dottrine elaborate sulle loro prestigiose cattedre universitarie, etichettando sapientemente come “bene comune” il loro personale progetto delirante di onnipotenza, che non è altro che un antidoto per combattere la morte che pervade il loro cuore.
Bene comune che si sostanzia, alla resa dei conti, nella distruzione della famiglia, quell’unione naturale di geni e linee di sangue di padri madri che incarnano il filo conduttore della storia di ognuno di noi a partire dalle nostre imprescindibili millenarie origini.
Storie biologiche, sentimentali ed emotive di generazioni da sostituire con il modello prodotto dalle menti di queste illuminate progettiste del mondo: “E’ necessario passare da una interpretazione di genitorialità fondata su sole basi biologiche, lavorando affinché sia culturalmente oltre che legalmente ammissibile il riconoscimento della genitorialità sociale”.
Dunque tutti genitori e figli e nipoti di tutti e di nessuno, un mondo idilliaco di spermatozoi, ovuli e uteri messi a mercato, soggetti alla legge della domanda e dell’offerta e ai minimi sindacali imposti dagli stati “democratici”, rigorosamente vegan, ecofriendly, not binary e gender fluid.
Una società in cui la famiglia naturale sarà vietata, la dignità soppressa e la libertà perseguita con la pena di morte, ridotta magari all’ergastolo per chi si pentirà nei confessionali del potere, in ginocchio davanti al dio stato che oggi queste donne teorizzano e domani domineranno dall'alto degli scranni dei loro tribunali "popolari".
No, oramai non si nasconde più nei dettagli.
Monica Bacis
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